Pfeil Back to Peter Lehmann Publishing

(Rielaborato dall'autore) Contributo alla conferenza Coping with stress and depression related problems in Europe [Far fronte alla depressione, allo stress, e ai problemi collegati], organizzato dall' Organizzazione Mondiale della Salute, Commissione Europea, Ministero Federale per gli Affari Sociali, Salute Mentale (Belgio), Bruxelles, 25-27 Ottobre, 2001. Pubblicata in ENUSP NEWSLETTER 2001 & 2002; traduz. a cura di No!Pazzia, agosto 2003. PDF / Deutsche Übersetzung / English Translation

Peter Lehmann

Suicidio indotto dai trattamenti. La suicidalità come effetto potenziale dei farmaci psichiatrici

La depressione può avere molte cause: situazione politica e psicosociale, disturbi neurologici, disordini del metabolismo, età avanzata, sostanze tossiche, farmaci. I medici di solito vedono le depressioni come un difetto organico o supposto tale, per il quale prescrivono farmaci psichiatrici od elettrochock. E' duro per loro accettare che molti farmaci psichiatrici possono causare o aumentare la depressione e la suicidalità. Ma nella letteratura specialistica medica e farmacologica ci sono molte pubblicazioni che menzionano effetti depressivi in conseguenza di farmaci psichiatrici. In particolare i cosiddetti farmaci antipsicotici, i neurolettici, quale l'aloperidolo (un nome commerciale Haldol) e la clozapina (un nome commerciale Leponex) spesso sono di iniziazione alla depressione e al suicidio. Un registro dei suicidi con una particolare menzione al farmaco psichiatrico associato, o all'elettrochock, alle costrizioni fisiche, alle altre forme di costrizioni psichiatriche, potrebbe essere una efficace forma di prevenzione per ridurre il presentarsi di depressione e suicidio.

Depressione e suicidalità associate ai farmaci

I neurolettici hanno un effetto bloccante principalmente nei riguardi del neurotrasmettitore dopamina, col risultato di provocare la malattia di Parkinson. Sono un complesso di sintomi, caratterizzati dal camminare inclinati in avanti, tremori ai muscoli, parlare impastato. La malattia ('morbo') di Parkinson è la conseguenza diretta del blocco della dopamina. La potenza dei neurolettici è definita dal loro potere di creare il morbo di Parkinson; questo non tanto è un indesiderato effetto collaterale, ma il principale effetto terapeutico secondo la definizione degli psichiatri.

Il morbo di Parkinson, che è principalmente una malattia dell'apparato motorio, comporta però anche alterazioni a livello psichico. I neurologi chiamano ciò "personalità parkinsoniana". E' un complesso di sintomi includenti l'apatia, la perdita di volontà, la depressione e la suicidalità, nonché stati confusionali e delirio (Fünfgeld 1967, pp. 3-25). Nel 1995, a proposito del dopo le prime somministrazioni del neurolettico prototipo (Largactil, Megaphen e Thorazina), lo psichiatra tedesco Hoimar von Ditfurth rilevò il parallelo tra l'affievolimento emozionale dovuto al Parkinson e l'affievolimento emozionale dopo il trattamento neurolettico:

"Per quel che si può dedurre, appare come se le alterazioni psichiche provocate dal Megaphen in particolare a livello di emozioni siano della stessa natura della "effettiva restrizione ed affievolimento" che si registra molto spesso nei parkinsonisti postencefalici (pazienti che hanno il parkinson dopo aver avuto una acuta infiammazione encefalica, P.L.)." (p. 56)

Quindi la depressione e la suicidalità sono effetti normali dei neurolettici, e gli psichiatri accettano ciò senza farsi problemi.

Frank J. Ayd (1975) del Psychiatric Department del Franklin Square Hospital in Baltimore, USA, ha scritto:

"C'è ormai un accordo generale sul fatto che le depressioni gravi che possono condurre al suicidio possono apparire durante il trattamento con qualsiasi neurolettico depot, come anche con qualsiasi neurolettico preso per via orale. Questi cambiamenti d' umore depressivi possono apparire in qualsiasi momento durante la terapia con neurolettici depot. Alcuni clinici hanno notato l' insorgere di depressione subito dopo l' inizio del trattamento; altri l' hanno notato mesi od anni dopo l' inizio." (p. 497)

Otto Benkert e Hanns Hippius (1980), due psichiatri tedeschi, così hanno risposto alla domanda se la suicidalità possa forse essere causata da un dosaggio eccessivo:

"La depressione, la suicidalità, gli stati di eccitamento e delirio, derivati dall'azione di farmaci, avvengono in genere sotto le dosi normalmente prescritte dal medico curante." (p. 258)

Dati sperimentali circa i suicidi causati da farmaci psichiatrici sono difficili da ottenersi per molte ragioni, come scrivono gli stessi psichiatri. Gli psichiatri non incolpano né guardano alla loro successione di trattamenti quale causa di depressione(Lehmann 1996, p. 111). Asusmus Finzen del dipartimento di psichiatria dell' Università di Berna, Svizzera, ha mostrato che il verosimile numero di suicidi avvenuti in istituti psichiatrici è grande, troppo. Dei dati precisi sono comunque difficili da rilevare, poiché:

"... .Nella cartella clinica e nei rapporti di dismissione dal reparto, spesso non è possibile trovare notizie di pazienti suicidati o morti. Se il suicidio è avvenuto durante una licenza a casa, la data della dismissione può essere retrodatata. Se il tentativo di suicidio non conduce a morte immediata, nella cartella clinica e nei rapporti statistici il paziente può essere considerato come [non più in carico, ma] spostato ad una clinica di medicina interna o chirurgica." (1988, p. 45)

R. de Alarcon e M.W.P. Carney, due psichiatri inglesi, hanno studiato il cambiamento d'umore verso la depressione dopo la somministrazione di neurolettici in relazione ad altri parametri concomitanti. Nel British Medical Journal essi riferiscono di suicidi sotto l'influenza di fluofenazina (un nome commerciale Moditen), somministrata come componente in un trattamento in comunità, e descrivono l'effetto della fluofenazina in un uomo di 39 anni che aveva già tentato di suicidarsi due volte sempre sotto l'influenza di questo farmaco. Avendo gli psichiatri capito che quest'uomo come regola sviluppava le idee suicide alcuni giorni dopo l'iniezione depot che avveniva ogni due settimane, essi vollero accettarsi con i propri occhi di come avveniva il peggioramento d'umore. Nell'istituto psichiatrico, quest'uomo fu osservato per un periodo di quattro settimane senza fare il trattamento con il neurolettico, e non si notò niente di notevole quanto a cambiamento d'umore. Poi gli fu inettato 25 mg di fluofenaziana intramuscolare:

"Durante la sua permanenza in ospedale fu intervistato da uno di noi (R. de A.) tre volte ogni settimana. Per la prima settimana dopo l'iniezione, non fu intervistato di giorno, ma la sua condizione è stata discussa con l'infermiere capoguardia e letti attentamente i rapporti dell'infermiere capoguardia. Ricevette l'iniezione d'inizio studio un mercoledì alle 3 del pomeriggio; a metà pomeriggio del giorno successivo fu trovato giù di corda, voleva star per conto suo, con nessun desiderio di parlare con nessuno, guardare la televisione, leggere. Restò a letto fino alle quattro del pomeriggio. Nell'opinione dell'infermiera che lo aveva in carico è stato a rischio di suicidio. Nell'intervista di venerdì la variazione del suo aspetto esterno era notevole – appariva truce, non rispose con un sorriso ad una facezia, non c'era conversazione spontanea. Le sue risposte erano limitate allo stretto necessario. Negò di avere idee paranoiche o ipocondriache né pensieri di sentirsi in colpa. Semplicemente disse che si sentiva molto giù e che se fosse stato da solo in una camera ammobiliata, avrebbe posto termine alla sua vita. Il venerdì sera ci fu un pò di miglioramento, e quando fu intervistato di nuova sabato era ritornato al suo solito normale sé stesso. (de Alarcon e Carney hanno offerto come loro conclusione, P.L.) che alcuni pazienti possono diventare gravemente depressi per un breve periodo dopo iniezioni di fluofenazina enantato o decanato. Finora non si sono stabiliti protocolli su quando e in quali casi questo è probabile che avvenga. La mancanza di aver avuto simili effetti negativi nel passato non è una indicazione che non ci possano essere nel futuro. In particolare nel caso in studio, il paziente aveva ricevuto fluofenazina enantato per più di sei mesi prima che incominciò a reagire ripetutamente all'iniezione con una grave depressione, e lo stesso comportamento si ebbe in altri casi." (1969, pp. 565-566)

In uno studio controllato con placebo, lo psichiatra Peter Müller del dipartimento di psichiatria di Göttingen, Germania, ha trovato che una percentuale molto più alta di pazienti trattati con farmaci psichiatrici ha sintomi depressivi, rispetto pazienti trattati a placebo. A riguardo di dimiunuire o dismettere farmaci psichiatrici egli ha scritto:

"Ci fu cambiamento verso un umore depresso in 41 casi su 47, in due casi non ci fu cambiamento, in quatto casi l'effetto fu dubbio. E' stato molto sorprendente vedere che in un numero predominante di casi la sola riduzione della dose (normalmente alla metà di quella iniziale) ha condotto ad un miglioramento rispetto i sintomi depressivi. Talvolta c'è stato un miglioramento solo parziale, ma che dette tuttavia un netto sollievo al paziente. Però in altri pazienti, o negli stessi in cui il miglioramento era stato solo leggero dopo aver ridotto la dose, una dismissione completa li fece stare molto meglio. Alcuni pazienti hanno riferito che solo ora essi si sentivano completamente sani, come non lo erano da molto prima della depressione. I sintomi depressivi, che erano stati giudicati non migliorabili da alcuni psichiatri e che erano stati percepiti come il venir fuori un disordine organico, scomparirono completamente. La possibile argomentazione che questi potrebbero essere effetti psico-reattivi prodotti dal miglioramento psicologico del paziente dovuto alla conoscenza della dismissione dei farmaci è da rifiutarsi, dato che pressoché tutti i pazienti avevano ricevuto iniezioni depot e non erano stati informati né delle dosi, né se era un placebo. (...). Il loro cambiamento fu in alcuni casi molto netto anche a loro stessi, ai loro parenti e ai medici esaminanti. I pazienti riportarono che ora essi si sentivano di nuovo completamente bene. Nel gruppo dei pazienti ancora trattati con farmaci psichiatrici, nettamente così non era. Questi risultati parlano molto nettamente se ci siano cause genetiche da contrastare con i farmaci e contro lo sviluppo di una psichiatria come cura di patologie." (1981, pp. 52-53, 64)

Müller così riassume:

"Sindromi depressive dopo la remissione della psicosi e sotto trattamento con farmaci psichiatrici, non sono rare, anzi avvengono in circa i due terzi di pazienti, talvolta anche più frequentemente, specialmente se sono usate iniezioni depot. Senza trattamento con farmaci psichiatrici, dopo la riduzione completa, le sindromi depressive si rinvengono solo in casi eccezionali." (ibid., p. 72)

Queste pubblicazioni di Müller sono sostenute da molti suoi altri colleghi (Lehmann 1996, pp. 57-87, 109-115). Ad es. Raymond Battegay e Annemarie Gehring (1968) del Psychiatric Department della Università di Basel, Switzerland, i quali mettono in guardia, dopo un paragone tra i percorsi di trattamento prima e dopo l'era dei farmaci psichiatrici:

"Durante gli ultimi anni, è stato ripetutamente descritto il viraggio delle sindromi schizofreniche a sindromi depressive. Sempre più schizofrenie mostrano ora un percorso verso depressione-apatia. E' diventato chiaro che quel che si sviluppa sotto l'influenza dei farmaci psichiatrici, è spesso proprio quello che si vorrebbe evitare, un cosiddetto loro difetto." (pp. 107-108)

Walther Pöldinger e S. Siebern della Psychiatric Institution Wil, Switzerland, hanno scritto:

"Non è infrequente che le depressioni provocate dalle medicazioni siano nettamente cause del presentarsi di idee suicide." (1983, p 131)

Nel 1976 Hans-Joachim Haase della Psychiatric Institution Landeck, Alemania, ha riferito che il numero di casi di depressioni pericolose dopo il trattamento con farmaci psichiatrici è aumentato almeno dieci volte rispetto il numero presente prima dell'introduzione dei farmaci psichiatrici. L'aumento della frequenza di suicidi è "preoccupante e allarmante", ha detto Baerbel Armbruster del Psychiatric Department della Università di Bonn, Alemania, in the Nervenarzt in 1986 – senza, ciononostante, mettere in allarme gli (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria e i loro parenti, né il pubblico.

Rolf Hessoe dello Psychiatric Department della Università di Oslo, Norvegia, ha reso informazioni sulla situazione in Svezia e Norvegia nel 1977; gli è apparso chiaro

"... che l'aumento di casi di suicidio, sia in assoluto che relativamente, è incominciato nel 1955. Che è stato l'anno in cui i neurolettici sono stati introdotti negli ospedali psichiatrici scandinavi." (p. 122)

Nel 1982 Jiri Modestin ha scritto a proposito del suo posto di lavoro, il Dipartimenti di Psichiatria dell'Università di Berna, e anche dell'istituto psichiatrico vicino di Münsingen:

"I nostri dati mostrano un drammatico aumento della frequenza di suicidi nei pazienti di Berna e Münsingen negli ultimi anni." (p. 258)

Resoconti di prima mano su depressione e suicidalità

Nel libro "To come off psychiatryc drugs" [Dismettere farmaci psichiatrici], pubblicato nel 1998, Regina Bellion di Brema (Germania) ha dato un resoconto sulla sua condizione psichica sotto trattamento nella comunità:

"Sola a casa. Tre volte al giorno conto le mie gocce di Haldol. Non fo molto altro. Siedo nella mia sedia con lo sguardo diretto verso la finestra. Non ho sensibilità per quel che succede fuori. Trovo difficoltà a spostarmi. Ciononostante sono abile ad alzarmi ogni giorno. Non mi accorgo che l'appartamento sta diventando sporco. Non è necessario che io cucini sempre. Non mi lavo. Non mi chiedo neppure se puzzo. La mia miseria avanza – ma io non me ne accorgo.
Vegeto dentro le mie pareti neurolettiche, sono chiusa fuori dal mondo e dalla vita. Il mondo reale è altrettanto più lontano da me che Plutone dal Sole. Il mio mondo personale segreto – il mio ultimo rifugio, l'ho raggiunto, ma l'ho distrutto con l' Haldol.
Questa non è la mia vita. Questa non sono io. Starei ugualmente bene morta. Un'idea ha incominciato a prendere forma. Prima che la primavera sopraggiunga mi voglio appendere.
Ma prima di ciò voglio tentare di vedere se la mia vita sarebbe differente senza l' Haldol. Ridurrò il numero delle gocce . Ne prenderò sempre di meno fino ad arrivare a zero.
Dopo un mese sono pulita. Allora incomincio ad accorgermi quanto sono trascurata. Mi lavo i capelli, rifò il letto, apro l'appartamento. Mi preparo un pasto caldo. Anche provo piacere a fare questo. Posso di nuovo pensare." (2004, p. 280)

Un' altra utente di farmaci psichiatrici, anche lei vive a Brema, ha ricevuto una prescrizione di Haldol e dell'antidepressivo Aponal (doxepina); sotto l'influenza di questa combinazione lei ha tentato – fortunatamente senza successo – di por fine alla sua sofferenza col suicidio:

"Quando andai di nuovo fuori io ho desiderato sedermi nella mia cucina di fronte al rubinetto dell'acqua, ero assetata ma incapace di riempirmi un bicchiere d'acqua o di mordere il pane diventato duro e stantio. Il supermercato non era troppo distante ma io non potevo decidere di alzarmi e così desiderai di essere semplicemente morta così avrei avuto almeno un pò di pace. Ero ridotta in pezzi dalla mia malattia. Sapevo che era una punizione per due punti neri della mia vita. Il peggiore è stato il cerchio vizioso di pensieri ricorrenti continuamente in un giro chiuso psicotico. Tantai più e più volte di pensare a qualcosa d'altro almeno per un momento ma non ci riuscii. I miei pensieri ricadevano sempre negli stessi cerchi, centinaia di volte al giorno, talvolta come al rallentatore, talvolta accelerando fino a farmi girare la testa. E questo era l'inferno per me, il gioco del diavolo. Mi ritrovavo dannata e abbandonata da Dio e senza speranza di salvezza. Non potevo far niente altro se non soffrire tramite questo film, la mia vita restava sotto. Sapevo che dovevo imparare ad aver di nuovo fede, ma non potevo, e perciò tentai di por fine alla mia vita." (Marmotte 2004, p. 119)

Gli antipsicotici atipici hanno anch'essi effetti suicidali, come riferisce l'austriaca Ursula Fröhlich in Brave New Psychiatry:

"Da quando ho incominciato a prendere il Leponex (clozapine), non ho desiderato più far sesso, non ho avuto più fantasia di muovermi, non ho trovato più gioia nella vita. Una vita senza gioia però è peggio della morte. Tutto quel che mi restava era osservare la televisione, dove ho guardato per sette anni gli altri vivere. Sono tutt'ora viva biologicamente, ma le mie sensazioni sono da tempo morte, nonostante che io prima mi rallegravo di qualcosa ora non sono più capace di farlo affatto. Di fatto la mia vita non esiste, mi trovo così vuota e non importante. Nei pomeriggi, lo stato d'animo è ancora peggiore. Ogni giorno mi propongo di incominciare una vita più sana il giorno dopo, di gettare via i farmaci, di bere molte vitamine e succhi di frutta, di incominciare un programma giornaliero di fitness. I farmaci psichiatrici mi danno la sensazione che sia possibile per me cominciare una vita differente, una nuova vita, il giorno dopo. Ma quando mi sveglio il giorno dopo mi trovo come sfasciata, non mi alzo mai dal letto prima delle 9, la mia depressione è così grave che penso al suicidio ogni giorno." (da Lehmann 1996, pp. 70-71)

Gli psichiatri non hanno trovato differenze rispetto i loro primi modi di sperimentare questi farmaci. Nel 1954 e 1955 Hans Heimann e Nikolaus Witt (1955) del Psychiatric Department della Università di Berna hanno pubblicato la loro esperienza di aver preso una volta la cloropromazina, ora commercializzata come Largactil. La loro esperienza utilizzò una rete di controllo di 1080 persone; essi fecero tre auto-esperienze e nove esperimenti con psichiatri e farmacologi. Il verificare una sensibilità ridotta e un accorgersi di una forza muscolare ridotta, elementi strutturali della sindrome di Parkinson, dopo aver preso il Largactil, sono molto chiari nei seguenti passi:

"Mi sono trovato mentalmente e fisicamente malato. Improvvisamente la mia situazione mi è apparsa difficile e senza speranza. Soprattutto è stato tormentoso il fatto di essere così miserabile ed esposto, così vuoto e superfluo, vuoto di qualsiasi speranza e progetto ... (Dopo aver finito i controlli): I normali compiti della vita mi crescevano immensi davanti a me: pranzare, andare nell'edificio vicino, tornare indietro - nonostante che tutto fosse da fare a piedi. Con ciò questo stato raggiunse il massimo di situazione emozionale sconfortante: l'esperienza di una esistenza passiva ma con la netta coscienza di altre possibilità..." (p. 113)

Un Registro dei Suicidi come forma di prevenzione

Nel febbraio 2000 la organizzazione tedesca degli "(ex-) Utenti e Sopravvissuti alla psichiatria" ha avanzato la richiesta al Ministro della Salute di istituire un Registro dei Suicidi con speciale riguardo alle associate medicine psichiatriche prese, agli elettrochoc, alle restrizioni fisiche e alle altre forme di costrizioni psichiatriche (Lehmann 2001, p. 46). La mancanza di una tale registrazione dei suicidi con descrizione dei metodi di trattamenti psichiatrici, coprente tutte le zone del paese, costituisce un serio pericolo; questi dati sono un prerequisito fondamentale per cercare le cause, e una base importante per prevenirli in tempo. L'obbligo di notificare alle autorità i suicidi e i trattamenti psichiatrici fatti in precedenza, può permettere misure preventive e promuovere studi ripetibili per scoprire la connessione tra suicidalità ed effetti dei farmaci psichiatrici. Non solo i neurolettici, di cui si è parlato qui, ma anche gli antidepressivi (Healy 2001; Lehmann 1996, pp. 194-201) nonché l'elettrochock (Frank 1990) debbono parimenti essere controllati attentamente.

I resoconti di (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria che sono stati spinti verso tentativi di suicidio dopo dei trattamenti traumatizzanti con farmaci psichiatrici, elettro e insulina-chock (vedi ad es. Kempker 2000) non debbono più essere ignorati. I medici i parenti e amici debbono essere informati sul rischio di depressione e suicidalità provocate dai farmaci. Gli utenti della psichiatria hanno bisogno di essere informati, in modo che possano prendere una decisione accuratamente ben informata sul prendere o meno un farmaco psichiatrico offerto, e all'occorrenza possano prendere misure adeguate per un minor rischio di depressione.

Appendice: Continua la discriminazione rispetto gli (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria

Alla conferenza "Balancing Mental Health Promotion and Mental Health Care: A Joint World Health Organization / European Commission Meeting" a Bruxelles nell'aprile del 1999, è stata accettata l'inclusione di (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria nel Consensus-paper per le politiche di salute mentale:

"Strategie ed obbiettivi comuni per migliorare le cure e la prevenzione in salute mentale includono: (...) Sviluppare ampie ed innovative politiche particolarmente per la salute mentale in consulta con tutti gli interessati, includendo utenti e familiari, e rispettanti i contributi dei cittadini e del NGO." (WHO 1999 p. 9)

Una rappresentanza dell' ENUSP – European Network of (ex-) Users and Survivors of Psychiatry – (= Rete Europea (ex-) Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria), è stata invitata alla conferenza "Far fronte allo stress e alla depressione e problemi correlati in Europa" (Bruxelles, ottobre 2001) ugualmente organizzata dall'Organizzazione Mondiale della Salute e dalla sua Commissione Europea.

Ebbene invece di assicurare una attiva inclusione nella conferenza in modo da permettere a professionisti e politici di imparare dal tesoro delle esperienze di ex utenti e sopravvissuti alla psichiatria, non hanno ritenuto di dover offrir loro diritti di uguali nella rappresentanza plenaria. Anche dopo che è stato ricordato loro il Consensus-paper, il Ministro Federale Belga degli Affari Sociali sez. Salute Pubblica ha solo chiesto al rappresentante ENUSP di partecipare ad una discussione collaterale in un workshop (Leen Meulenbergs).

Questo è il vecchio modo di ripartire gli ruoli per i rappresentanti degli (ex-) utenti e sopravvissuti alla psichiatria, che potrebbero giocare un ruolo di esperti nei congressi che particolarmente li riguardano. Questo modo di agire deve essere respinto perché di nuovo discriminante e contrario allo spirito dei pari diritti.

Riferimenti

  • Armbruster, Bärbel: "Suizide während der stationären psychiatrischen Behandlung", in: Nervenarzt, Vol. 57 (1986), pp. 511-516

  • Ayd, Frank J.: "The depot fluphenazines", in: American Journal of Psychiatry, Vol. 132 (1975), pp. 491-500

  • Battegay, Raymond / Gehring, Annemarie: "Vergleichende Untersuchungen an Schizophrenen der präneuroleptischen und der postneuroleptischen Ära", in: Pharmakopsychiatrie Neuro-Psychopharmakologie, Vol. 1 (1968), pp. 107-122

  • Bellion, Regina: "After withdrawal the difficulties begin", in: Peter Lehmann (ed.): "Coming off Psychiatric Drugs. Successful Withdrawal from Neuroleptics, Antidepressants, Lithium, Carbamazepine and Tranquilizers", Berlino 2004, pp. 279-290 (e-book 2023)

  • Benkert, Otto / Hippius, Hanns: "Psychiatrische Pharmakotherapie", 3a edizione, Berlino / Heidelberg / New York 1980

  • De Alarcon, R. / Carney, M.W.P.: "Severe depressive mood changes following slow-release intramuscular fluphenazine injection", in: British Medical Journal, Vol. 1969, pp. 564-567

  • Finzen, Asmus: "Der Patientensuizid", Bonn 1988

  • Frank, Leonard R.: "Electroshock: death, brain damage, memory loss, and brainwashing", in: Journal of Mind and Behavior, Vol. 11 (1990), pp. 489-502

  • Fünfgeld, Ernst Walter: "Psychopathologie und Klinik des Parkinsonismus vor und nach stereotaktischen Operationen", Berlino / Heidelberg / New York 1967

  • Haase, Hans-Joachim: "Pharmakotherapie bei Schizophrenien", in: Hans-Joachim Haase (ed.): "Die Behandlung der Psychosen des schizophrenen und manisch-depressiven Formenkreises", Stoccarda / New York 1976, pp. 93-120

  • Healy, David: "The SSRI suicides", in: Craig Newnes, Guy Holmes, Cailzie Dunn (eds.): "This is madness too – Critical perspectives on mental health services", Ross-on-Wye 2001, pp. 59-69

  • Heimann, Hans / Witt, Peter Nikolaus: "Die Wirkung einer einmaligen Largactilgabe bei Gesunden", in: Monatsschrift für Psychiatrie und Neurologie, Vol. 129 (1955), pp. 104-123

  • Hessö, Rolf: "Suicide in Norwegian, Finnish, and Swedish hospitals", in: Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten, Vol. 224 (1977), pp. 119-127

  • Kempker, Kerstin: "Mitgift – Notizen vom Verschwinden", Berlino 2000 (PDF e-book 2022)

  • Lehmann, Peter: "Schöne neue Psychiatrie", Vol. 1: "Wie Chemie und Strom auf Geist und Psyche wirken", Berlino 1996 (e-book 2022)

  • Lehmann, Peter: "Grußwort des Bundesverbandes Psychiatrie-Erfahrener", in: Aktion Psychisch Kranke (ed.): "25 Jahre Psychiatrie-Enquete", Vol. 1, Bonn 2001, pp. 44-47

  • Marmotte, Iris: "The Blue Caravan on the road...", in: Peter Lehmann (ed.): "Coming off Psychiatric Drugs. Successful Withdrawal from Neuroleptics, Antidepressants, Lithium, Carbamazepine and Tranquilizers", Berlino 2004, pp. 117-135

  • Modestin, Jiri: "Suizid in der psychiatrischen Institution", in: Nervenarzt, Vol. 53 (1982), pp. 254-261

  • Müller, Peter: "Depressive Syndrome im Verlauf schizophrener Psychosen", Stoccarda 1981

  • Pöldinger, Walter / Sieberns, S.: "Depression-inducing and antidepressive effects of neuroleptics", in: Neuropsychobiology, Vol. 10 (1983), pp. 131-136

  • Von Ditfurth, Hoimar: "Anwendungsmöglichkeiten des Megaphens in der psychiatrischen Klinik und Forschung", in: Nervenarzt, Vol. 26 (1955), pp. 54-59

  • World Health Organization / European Commission: "Balancing mental health promotion and mental health care: A joint World Health Organization / European Commission meeting", booklet MNH/NAM/99.2, Bruxelles 1999

Copyright 2002 by Peter Lehmann, Berlino